C’era qualcosa di patriarcale che non albergherà più nelle menti e nei comportamenti delle persone d’oggi.
- “ Milòoo !”
- “ Eh, tras’ tras’. (Vitimu ce otru rapirtoriu porta quisctu …, mo aggh’a’scè mancià, muggher’ma scte spetta”)
- “Na’ quanta sc’arrivamu cinku minut’ ca lu motor’ nonn’ vo’ sap’”
- “ E t’ijotru a sct’ora t’ n’ vien’?! … Ce ve’ cu la mach’na? »
- « Sin’, ca m’la gghiu fattu ‘mprisctà ti canat’ma”
- “ Aspè ca pigghiu ‘nquarche chee!”
Era
questo il tenore delle migliaia di interventi fatti da Tonino. Al suono della
parola “Milò” si risvegliavano in lui emozionalità cariche di richiami, di
invocazioni, di appelli a cui doveva rispondere per amici e per sconosciuti, già
consapevole che solo lui poteva superare lo stato di bisogno del malcapitato.
Era
il risultato di un imperativo categorico che sapeva di antico, di sacrificio, di
sudore, di vita difficile come era stata la sua giovinezza volta a saper usare
mezzi di trasporto assai più capaci e più veloci di quelli in cui il padre,
Raffaele, era grande maestro e fine esecutore come carrettiere, come aratore con
cavalli possenti di proprietari terrieri che se lo contendevano.
Oggi 29 agosto 2011, però, Tonino non ha saputo trovare la chiave giusta. Lo hanno chiuso nella bara senza un cacciavite, un punteruolo, un qualunque strumento che gli permettesse di uscire da quella maledetta cassa. Né hanno potuto fare molto gli amici, Ninucciu, Toricchiu, Abramu, mesctu Pietru, … perché, presi alla sprovvista, non hanno fatto in tempo a passargli qualche attrezzo. Ora, là, si sentirà in difficoltà senza la sua ferraglia; deve perfino sperare che san Pietro non si accorga della sua presenza, sarebbe capace di metterlo a costruire chiavi di riserva per altri ospiti.
Comunque, caro Antonio, non disperare, un po’ di pazienza e vedrai che, prima o dopo, si farà vivo qualcuno che ti raggiungerà, sia pure con un punteruolo, e il problema sarà risolto. (a. g.)